Il “whistleblowing” non autorizza attività investigative illecite

27 July 2018
La Sezione V della Corte di cassazione, ud. 21 maggio 2018 (dep. 26 luglio 2018, n. 35792, Pres. Bruno, Rel. Tudino) ha precisato i limiti della disciplina sulla segnalazione di illeciti da parte di dipendente pubblico ex art. 54-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, così come aggiornato dall’art. 1 della legge 30 novembre 2017, n. 179. La norma intende tutelare il soggetto, legato da un rapporto pubblicistico con l’amministrazione, che rappresenti fatti antigiuridici appresi nell’esercizio del pubblico ufficio o servizio. L’istituto si conforma, per quanto riguarda la struttura, all’art. 361 c.p., ma se ne distingue per quanto concerne i presupposti e l’ambito di operatività, nella doppia declinazione della tutela del rapporto di lavoro e del potenziamento delle misure di prevenzione e contrasto della corruzione. 
La pronuncia ha chiarito che:
  • la normativa si limita a scongiurare conseguenze sfavorevoli (quali misure sanzionatorie, discriminatorie o il licenziamento), limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante (dipendente virtuoso) che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un’attività illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni e non autorizza improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge;
  • il dovere di segnalazione da parte del dipendente pubblico non scrimina la condotta di chi si introduce illecitamente in un sistema informatico (art. 615-ter c.p.), al fine di sperimentare la vulnerabilità del sistema.
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